lunedì 12 marzo 2012

L'Anima di plastilina


Non sei speciale. Ovunque leggo queste parole. Anche nei silenzi le sento. Non hai nulla di unico, niente per cui valga la pena rischiare di amarti. Non sei abbastanza per esaudire i miei desideri e non riesci a fare di meglio. E allora tutto questo mondo interiore, tutto questo amore a cosa serve? Perché mi è stato regalato se non è mai abbastanza?
Non riesco ad essere perfetta come vorrei. Talmente perfetta da non poter deludere nessuno. Ci provo ma non sono capace. Questi dannati difetti mi perseguitano, voglio una gomma da cancellare, voglio cancellare tutto quello che ho di sbagliato ma sembra essere scritto da una penna indelebile.
Voglio solo che tu, ovunque sia, possa vedere al di là e non fermarti anche se è difficile. Voglio che mi insegni a fidarmi, a trovare la strada giusta da percorrere anche se sarò da sola. Voglio imparare dall’amore. Per una volta voglio imparare dall’amore, perché dal dolore ho già imparato troppo.
Voglio imparare il linguaggio degli amanti, segreto, magico, che non chiede sigilli ne conferme, che non contempla l’assenza e la solitudine.
Voglio credere che se non mi cerchi non ho niente che non va, che se non mi scegli non è perché non me lo merito, che se te ne vai non sono io quella imperfetta che ha sbagliato tutto o che avrebbe potuto leggere più a fondo i tuoi pensieri.
Ti immagino già mentre mi dai le spalle e mi lasci senza una spiegazione, non ci sei, eppure io già ti immagino, crudele e sprezzante, mentre mi guardi deluso dalla mia incapacità di plasmarmi sui tuoi desideri. Te lo aspettavi, avrei dovuto e potuto, trasformarmi, adeguarmi… come il Das… ti ricordi quando ci giocavamo da bambini? Prendevi questa piccola massa informe, malleabile, che non aveva un’anima ne un significato, la tenevi tra le mani, la osservavi sognante e sapevi che da li a poco ti saresti trasformato in un artista…. L’artefice delle tua immaginazione, il creatore dei tuoi desideri, avresti potuto plasmare ogni idea, ogni realtà fantastica, sentivi l’onnipotenza che prova uno scultore… generare, con le tue mani, dal nulla solo ciò che hai scelto di far nascere.
Io ho investito entrambi i ruoli… plastilina nella vita degli altri… artista solo sul palcoscenico del mio mondo.
Tanto ho creato, partorito, sognato, desiderato nella mia anima, tanto mi sono plasmata sulla volontà di chi ho ritenuto importante avere accanto.
Eternamente sdoppiata in due parti, in due universi che non coincideranno mai, due rette parallele che si osservano ma non si incrociano. Nessuna contaminazione tra il vorrei essere e il sono.
La mia mente è abitata. Troppi i pensieri che vi risiedono. Mi piacerebbe tanto osservarla da dentro, da vicino. Li vorrei vedere tutti quei pensieri dove stanno, quanti sono, mi vorrei presentare, tanto li sento estranei.
Piacere sono leda. Abitate abusivamente nella mia testa, potete cortesemente sloggiare? Siete sfrattati.
Aahhhh che enorme soddisfazione sarebbe. Riprendermi le chiavi della mente e cambiare la serratura. E poi… prima di permettere l’accesso, imparerei a selezionare accuratamente cosa far entrare e a cosa dare un calcio nel sedere. L’idea mi fa sorridere… forse perché so che per un po’ la mia mente sarebbe vuota, disabitata, abbandonata… di tutto ciò che vi abita terrei ben poco.
Quei tarli, chiamati pensieri dai molti e mostri da me, rosicchiano incessantemente e ho paura che non faranno rimanere nulla di me. Si stanno mangiando tutto, voracemente e senza preoccuparsi delle conseguenze. Mangiano soprattutto il coraggio.
Deve avere un gusto eccellente.. il mio coraggio...

lunedì 5 marzo 2012

Il Tassello Mancante




E’ una ricerca disperata, spesso mi accontento di quello che trovo, ma altre volte quel dolore originario torna a tormentarmi.

Lui ritorna, ritorna sempre. Si presenta alla mia porta improvvisamente e senza invito.
La sua voce severa e crudele mi ricorda che sto sbagliando obiettivo e che la chiave per trovare quello che cerco è da un’altra parte.
Poi se ne va, lasciandomi li, senza indizi e tanto sola. Ma la scia che si lascia dietro è devastante, perché lui non se ne va in silenzio come è arrivato. No. Assordante è la sua ombra. Urla quel dolore.
Credo che abiti accanto al cuore e vicino alla gola. E’ li che lo sento quel vuoto. Quel tassello che manca. Ad invadere quel buco c’è solo una domanda… cosa c’è di sbagliato in me… perché non vado bene così come sono.
Juliette Binoche nel Paziente Inglese era convinta che tutti coloro che amava morissero, che non c’era un’anima al mondo destinata a sopravvivere al suo amore.
Io, per non essere troppo melodrammatica, mi limito a pensare che mi abbandonino…per quanto credo fermamente che l’abbandono sia assolutamente più doloroso della morte.
Nella morte c’è qualcosa di aleatorio e imprevedibile, che va al di là delle nostre scelte, ma nell’abbandono, la volontà dell’Io, lo rende spietato e carnefice. Come sopravvivere a chi sceglie di non amarti? A chi stabilisce che non sei abbastanza?
O siamo noi che stabiliamo il nostro valore in base alla specialità che ci viene trasmessa dall’immagine che vediamo riflessa negli occhi di qualcun altro?
Voglio essere amata. Mi sembra che questa frase mi rimbombi nel cervello fino a farlo esplodere.

Amore amore amore.

Tutti ci riempiamo la bocca di questa parola che sembra promettere più di quello che contiene. Voglio che qualcuno mi ami, voglio che qualcuno si prenda cura di me, mi sorregga, mi aiuti, mi veneri, mi adori. Ad alta voce mi vergognerei ad ammetterlo lo so. Mi sentirei troppo egocentrica e narcisista. Ma nel profondo del cuore ucciderei per averlo. Io lo immagino l’amore… ce l’ho proprio davanti agli occhi… è così perfetto il mio amore, così magico, così intenso, così irreale…

Non è il mio amore… è l’amore di qualcun altro per me. Io gioco in disparte. Io osservo da lontano. Il mio cuore è al sicuro dentro una bolla. Io non sono disposta a rischiare. Io non sono disposta ad essere vera.
Voglio l’amore senza amare. Io non mi fido.
Non mi fido delle parole né degli sguardi, neppure dei gesti. Non mi fido di uno sconosciuto che tenta di farmi credere che sono importante. Non ci riesco, non ce la faccio.
Mi difendo fino allo stremo da chi cerca di agguantarmi il cuore e farlo a pezzi. Da chi cerca di rubarmi l’anima e il respiro. Ho paura, una paura che non si può spiegare.

Cerco quello che non so dare e che presuntuosamente penso di avere. Mi cerco attraverso l’amore che ricevo, attraverso un cuore che non è mio, mi cerco nell’estasi che vorrei generare.
Cerco quel pezzo mancante, cerco quello che potrebbe rispondere alla domanda che abita il mio vuoto, cerco di riparare il mio orologio e renderlo nuovamente utile.
Cerco quello che vorrei nei luoghi sbagliati, come un investigatore che sbaglia pista, e che non si rassegna a ricominciare daccapo. Ma come e dove si comincia a cercare l’amore per se stessi… dove lo trovo il mio valore… la stima che dovrei nutrire per questo corpo.

giovedì 9 febbraio 2012

L'Orologio


Eccolo il mio foglio bianco.
Lo osservo silenziosamente immaginando già cosa accoglierà fra i suoi spazi infiniti.
Vedo già la responsabilità che si assumerà, dando rifugio ad un mondo nascosto. Vedo già la mia anima tradotta che cerca riparo in un luogo, bianco, puro, candido, senza contaminazioni, solo mio. Questo foglio che non sa quanto riesce a coccolare ed amare quello che nessun altro potrebbe.
Continuo a tormentarmi le mani, stringendo i pugni e affondando le unghie tra la carne. Lo faccio sempre quando mi sento perduta. E’ un dolore che mi ricorda di respirare. Mi da l’impressione di essere viva, di raccogliere le forze necessarie per prepararmi alla resistenza.
Sono un soldato tra le linee nemiche, combatto una guerra che è come se mi appartenesse da sempre ma che non ricordo più perché è cominciata. Corazzata e determinata, mi nascondo nelle trincee che riesco a ricavare nell’avanzata, le trincee che scavo a mani nude sanguinando, che mi costano un prezzo troppo alto ma che sono l’unica salvezza dalla resa totale. E’ un’avanzata, la mia, che procede lentamente e inesorabile.
Ho bisogno di fermarmi a volte per riprendere le forze necessarie e così, tra la terra umida che ho scavato, sosto ripensando ai morti e feriti che ho lasciato dietro di me.
Il sangue che ho versato ne è valsa la pena? A volte sono così certa delle mie conquiste che non ho dubbi. Altre volte, come ora, mi sento sopraffatta dalla stanchezza e dalla disperazione.
Non ho l’abitudine di ammetterlo. Non ho ancora imparato a fare uscire dalla mia bocca parole di autocommiserazione. Solo tu, mio foglio fedele, puoi raccogliere i miei dubbi. Solo tu mi dai la certezza che non giudicherai la mia debolezza. Lo urlerei se fossi capace e invece lo scrivo a te… sottovoce e di nascosto.
Ho il cuore in frantumi, in piccoli pezzi che non riescono a ritrovarsi. Sono triste, stanca, sola, disillusa, arrabbiata. Tanto arrabbiata. Non mi fermo mai, guardo oltre il dolore che mi stravolge, eppure è tutto inesorabilmente inutile.
C’è qualcosa di rotto dentro di me.
Si. Si deve essere spezzato qualcosa in tempi che non ricordo.
Come un orologio che smette di funzionare impeccabilmente perché una minuscola parte di lui si è rotta.
Ecco. Io sono così. Un orologio rotto.
Un bell’orologio che tutti vorrebbero indossare, elegante, alla moda, ma che non funziona. Lo vedi e pensi che sia un orologio perfetto, lo indossi e sai che non serve a niente. E pensi che lo puoi aggiustare, che riuscirai a trovare il guasto e sostituirlo con una parte nuova, lo smonti, lo osservi, ci perdi ore, provi e riprovi. Ma quella parte nuova non sarà mai come l’originale, non lo farà mai funzionare come prima, si incepperà quell’orologio, non ti darà mai l’ora esatta.
Io ci provo a trovare quel guasto dentro di me. Ogni singolo giorno della mia vita è speso per cercare cosa si è rotto. Ma come si trova qualcosa che non sai nemmeno cos’è. Come si fa a cercare di riparare qualcosa che non hai rotto tu. E’ come se dovessi inventarmi un mestiere. La ripara-guasti di qualcun altro che si è preso la briga di non farmi funzionare come avrei dovuto.

martedì 7 febbraio 2012

Bianca come il latte, rossa come il sangue

"I greci raccontavano che originariamente l'uomo era sferico e che Zeus per punirlo delle sue malefatte lo aveva spaccato a metà. Le due metà, vagano per il mondo e si cercano. La nostalgia le spinge a cercare ancora e ancora, e quando si trovano, quella sfera vuole tornare unita.
Questa storia ha del vero, ma non è sufficiente. Quando le due metà si incontrano di nuovo, hanno vissuto le loro vite fino a quel momento. Non sono uguali a come si erano lasciate. I loro lembi non coincidono più. Hanno difetti, debolezze, ferite. Non basta che si incontrino di nuovo e si riconoscano. Adesso devono anche scegliersi, perchè le due metà non combaciano più perfettamente, ma solo l'amore porta ad accettare gli spigoli che non combaciano e solo l'abbraccio li smussa, anche se fa male." - Alessandro D'Avenia