Eccolo
il mio foglio bianco.
Lo
osservo silenziosamente immaginando già cosa accoglierà fra i suoi spazi
infiniti.
Vedo
già la responsabilità che si assumerà, dando rifugio ad un mondo nascosto. Vedo
già la mia anima tradotta che cerca riparo in un luogo, bianco, puro, candido,
senza contaminazioni, solo mio. Questo foglio che non sa quanto riesce a
coccolare ed amare quello che nessun altro potrebbe.
Continuo
a tormentarmi le mani, stringendo i pugni e affondando le unghie tra la carne.
Lo faccio sempre quando mi sento perduta. E’ un dolore che mi ricorda di
respirare. Mi da l’impressione di essere viva, di raccogliere le forze
necessarie per prepararmi alla resistenza.
Sono
un soldato tra le linee nemiche, combatto una guerra che è come se mi
appartenesse da sempre ma che non ricordo più perché è cominciata. Corazzata e
determinata, mi nascondo nelle trincee che riesco a ricavare nell’avanzata, le
trincee che scavo a mani nude sanguinando, che mi costano un prezzo troppo alto
ma che sono l’unica salvezza dalla resa totale. E’ un’avanzata, la mia, che
procede lentamente e inesorabile.
Ho
bisogno di fermarmi a volte per riprendere le forze necessarie e così, tra la
terra umida che ho scavato, sosto ripensando ai morti e feriti che ho lasciato
dietro di me.
Il
sangue che ho versato ne è valsa la pena? A volte sono così certa delle mie
conquiste che non ho dubbi. Altre volte, come ora, mi sento sopraffatta dalla
stanchezza e dalla disperazione.
Non
ho l’abitudine di ammetterlo. Non ho ancora imparato a fare uscire dalla mia
bocca parole di autocommiserazione. Solo tu, mio foglio fedele, puoi
raccogliere i miei dubbi. Solo tu mi dai la certezza che non giudicherai la mia
debolezza. Lo urlerei se fossi capace e invece lo scrivo a te… sottovoce e di
nascosto.
Ho
il cuore in frantumi, in piccoli pezzi che non riescono a ritrovarsi. Sono
triste, stanca, sola, disillusa, arrabbiata. Tanto arrabbiata. Non mi fermo
mai, guardo oltre il dolore che mi stravolge, eppure è tutto inesorabilmente
inutile.
C’è
qualcosa di rotto dentro di me.
Si.
Si deve essere spezzato qualcosa in tempi che non ricordo.
Come
un orologio che smette di funzionare impeccabilmente perché una minuscola parte
di lui si è rotta.
Ecco.
Io sono così. Un orologio rotto.
Un
bell’orologio che tutti vorrebbero indossare, elegante, alla moda, ma che non
funziona. Lo vedi e pensi che sia un orologio perfetto, lo indossi e sai che
non serve a niente. E pensi che lo puoi aggiustare, che riuscirai a trovare il
guasto e sostituirlo con una parte nuova, lo smonti, lo osservi, ci perdi ore,
provi e riprovi. Ma quella parte nuova non sarà mai come l’originale, non lo
farà mai funzionare come prima, si incepperà quell’orologio, non ti darà mai
l’ora esatta.
Io
ci provo a trovare quel guasto dentro di me. Ogni singolo giorno della mia vita
è speso per cercare cosa si è rotto. Ma come si trova qualcosa che non sai
nemmeno cos’è. Come si fa a cercare di riparare qualcosa che non hai rotto tu.
E’ come se dovessi inventarmi un mestiere. La ripara-guasti di qualcun altro
che si è preso la briga di non farmi funzionare come avrei dovuto.
Anche un orologio rotto, almeno due volte al giorno, indica l'ora esatta.
RispondiEliminaNon è mia, ma calza al pennello
Ho un orologio a cui sono molto affezionata che ad un certo punto si è rotto.
RispondiEliminaDopo numerosi tentativi falliti per farlo riparare, mi ero rassegnata all'idea che non l'avrei mai più utilizzato.
Un giorno, per caso, sono finita in un posto dove mi hanno convinto a provare un'altra volta e, contro ogni mia aspettativa, l'orologio è tornato. Come nuovo. Non è esattamente l'originale, ma funziona benissimo e probabilmente è più bello di come non fosse diventato col tempo.
I guasti si riparano, le cose si trasformano e possono diventare migliori, bisogna avere fiducia.